Vai al contenuto

Quando i CEO diventano pastori: il bisogno di fede nell’era digitale

Read Time:2 Minute, 34 Second

“L’uomo è un animale religioso: non smette di credere, cambia solo in cosa.”

Umberto Galimberti

In un’epoca dominata dalla tecnologia e dalla razionalità dei dati, ci aspetteremmo che il pensiero critico regni sovrano. Eppure, nel cuore della Silicon Valley – patria dell’innovazione e del disincanto – qualcosa di profondamente arcaico è tornato a galla: la necessità di credere. E non in Dio, o almeno non nel Dio tradizionale, ma in nuovi idoli, nuovi codici, nuove gerarchie. I CEO non guidano solo aziende: guidano anime.

Il Vangelo secondo Peter Thiel

Peter Thiel, uno dei più iconici venture capitalist della Silicon Valley, non ha mai nascosto la propria ammirazione per la Bibbia. Lo stesso vale, in misura diversa, per Elon Musk, che ha parlato pubblicamente della resurrezione di Cristo come modello di pensiero per l’umanità. Non si tratta di religiosità nel senso confessionale, ma di una forma di fede funzionale: un sistema di valori semplice, rigido, performativo.

Il messaggio? Merito, eccellenza, intelligenza. Spesso in opposizione – neanche troppo velata – a concetti come diversità, equità e inclusione. Alcuni CEO parlano apertamente di “MEI” come antidoto al “DEI”. È una narrazione potente, che mescola l’etica protestante con l’efficienza algoritmica, il destino manifesto con il pitch deck.

Silicon Valley come nuova chiesa

Gli eventi come Code & Cosmos, dove si discute di scienza e Bibbia nello stesso spazio, rivelano che l’ansia esistenziale non è mai sparita. Si è solo travestita da branding. Le aziende diventano chiese, i valori aziendali si trasformano in dogmi. I leader carismatici offrono risposte rapide a domande complesse: chi siamo, dove andiamo, qual è il senso del nostro lavoro.

Il filosofo tedesco Max Weber, già nel primo Novecento, descriveva il legame tra spirito del capitalismo e morale protestante. Oggi quel legame è stato riformulato in chiave postmoderna: la salvezza non si guadagna con la fede, ma con il successo. Non si misura in paradisi ultraterreni, ma in exit milionarie.

Fede o obbedienza?

Il punto cruciale, tuttavia, non è solo cosa viene detto, ma come viene accolto. I giovani founder, i developer, i designer che popolano la Silicon Valley (e oggi anche le sue repliche globali) sembrano desiderosi di seguire visioni forti, anche a costo di rinunciare al dubbio. La fede, in questa forma, non è più un atto spirituale: è un’esigenza strutturale. Serve per orientarsi, per sentirsi parte di qualcosa, per avere un significato.

Ma quando la necessità di senso diventa cieca adesione, il rischio è la rinuncia al pensiero critico. E questo, oggi, è forse il vero campo di battaglia: non tra religione e scienza, ma tra autonomia e delega totale.

Conclusione: fede senza pensiero?

In fondo, non abbiamo smesso di credere. Abbiamo solo spostato il centro del culto. Dalla chiesa alla boardroom. Dal sacerdote al CEO. E questo non è di per sé un male, ma diventa problematico quando smettiamo di interrogarci. Perché una fede che non si pone domande non è fede: è obbedienza.

E se l’era digitale ha bisogno di nuovi valori, forse il primo da recuperare è proprio questo: il diritto al dubbio.

Happy
Happy
0 %
Sad
Sad
0 %
Excited
Excited
0 %
Sleepy
Sleepy
0 %
Angry
Angry
0 %
Surprise
Surprise
0 %
Roberto Beccari
Pubblicato inBlogSocietà

Average Rating

5 Star
0%
4 Star
0%
3 Star
0%
2 Star
0%
1 Star
0%