“Il pericolo non sta nei nostri difetti, ma nella nostra inconsapevolezza.”
— Daniel Kahneman
Ogni giorno, nel nostro lavoro e nella nostra vita privata, prendiamo decine di decisioni. Alcune sono rapide e intuitive, altre più ragionate. Ma anche le scelte che riteniamo “logiche” sono spesso influenzate da schemi mentali inconsapevoli. Si tratta dei bias cognitivi: scorciatoie del pensiero che ci aiutano a semplificare il mondo ma che, al tempo stesso, possono condurci a errori sistematici di valutazione.
Se sei un team leader, conoscere questi meccanismi non è solo utile: è essenziale. I bias influenzano la percezione dei collaboratori, le decisioni organizzative, il modo in cui si gestiscono i conflitti e si distribuiscono le responsabilità. E, cosa più insidiosa, lo fanno in modo silenzioso e automatico.
Cosa sono i bias cognitivi
I bias cognitivi sono distorsioni sistematiche del pensiero che influenzano il modo in cui interpretiamo la realtà. In altre parole, il cervello utilizza delle “scorciatoie” per risparmiare tempo e fatica nel prendere decisioni, soprattutto in situazioni complesse o ambigue. Queste scorciatoie, però, non sono neutrali: possono portarci a giudizi distorti, a errori prevedibili e, nei contesti organizzativi, a decisioni dannose.
Il concetto è stato formalizzato negli anni ’70 dagli psicologi Daniel Kahneman e Amos Tversky. Il loro lavoro ha mostrato che, anche in ambienti strutturati come quello aziendale, le persone tendono a cadere in trappole mentali che influenzano negativamente il processo decisionale. Da allora, i bias sono diventati oggetto di studio in economia comportamentale, neuroscienze, marketing e — sempre di più — nel management e nella leadership.
I bias cognitivi più comuni nella leadership
Nel contesto della leadership, i bias non sono solo un rischio teorico: sono una realtà quotidiana. Un team leader si trova continuamente a dover giudicare, scegliere, mediare. Ecco alcuni dei bias più ricorrenti in questo ruolo.
Bias di conferma
Tendiamo a cercare e privilegiare solo le informazioni che confermano le nostre idee preesistenti, ignorando tutto ciò che le contraddice. Se un team leader è convinto che un collaboratore sia poco motivato, tenderà a notare solo i segnali che rafforzano questa idea, anche se non corrisponde alla realtà.
Effetto alone
Una singola caratteristica positiva (o negativa) di una persona influenza il giudizio complessivo su di lei. Ad esempio, un collaboratore particolarmente brillante nelle presentazioni potrebbe essere sopravvalutato anche in ambiti dove non ha competenze, semplicemente perché l’impressione generale è favorevole.
Bias di similarità
Favoriamo inconsapevolmente chi ci somiglia, sia per background culturale che per stile comunicativo. Questo porta i leader a circondarsi di persone “affini” e a penalizzare quelle con approcci diversi, riducendo la diversità cognitiva del team.
Bias di ancoraggio
La prima impressione o informazione ricevuta condiziona le valutazioni successive. Un colloquio iniziale deludente può continuare a influenzare negativamente il giudizio su una persona, anche dopo mesi di buone performance.
Effetto Dunning-Kruger
Chi ha scarse competenze tende a sopravvalutarsi, mentre chi è competente spesso si sottovaluta. Questo può portare un leader a dare fiducia a chi appare sicuro di sé — ma è incompetente — e a trascurare chi è più modesto, ma più preparato.
Bias di status quo
È la tendenza a mantenere le cose come sono, anche quando il cambiamento sarebbe necessario. Questo porta, ad esempio, a non intervenire in una dinamica di team disfunzionale per timore di peggiorare la situazione o di rompere un equilibrio fragile.

Perché è importante riconoscerli (e come gestirli)
I bias non sono eliminabili del tutto. Sono parte della natura umana. Ma possono essere riconosciuti, analizzati, gestiti. Un buon team leader non è chi non ha pregiudizi, ma chi lavora ogni giorno per non lasciarsene dominare.
La prima strategia è l’autoconsapevolezza. Sapere che i bias esistono e che nessuno ne è immune è già un passo importante. A questo si può affiancare la pratica del feedback: chiedere confronti sinceri, anche scomodi, ai membri del team o ad altri colleghi.
Utilizzare criteri oggettivi nella valutazione — come griglie, checklist o rubriche — aiuta a evitare decisioni “di pancia”. Ma la vera forza sta nel coltivare una cultura di ascolto: aprirsi a opinioni diverse, valorizzare il dissenso, confrontarsi con persone che la pensano diversamente.
Formarsi su questi temi, magari con brevi workshop interni o momenti di confronto informale, può avere un impatto enorme sulla qualità della leadership e sul benessere del team.
Conclusione
Guidare un team significa gestire relazioni, emozioni, obiettivi. E i bias cognitivi sono sempre dietro l’angolo, pronti a distorcere il nostro sguardo. La buona notizia è che, se impariamo a riconoscerli, possiamo migliorare radicalmente la qualità delle nostre decisioni.
“La leadership non è mai neutra. O costruisce o distrugge. La consapevolezza è ciò che fa la differenza.”
In un mondo del lavoro sempre più complesso, la lucidità mentale e la capacità di mettere in discussione i propri automatismi non sono un optional: sono la chiave per una leadership etica, efficace e umana.
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