Intelligenza artificiale

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Più volte ho parlato di intelligenza artificiale, è un argomento che mi affascina molto, non tanto per la parte “intelligente”, che ancora non esiste, ma per le relazioni che essa ha e avrà sempre di più nel nostro quotidiano.

Marco Somalvico la descrisse così…

L’intelligenza artificiale (o IA, dalle iniziali delle due parole, in italiano) è una disciplina appartenente all’informatica che studia i fondamenti teorici, le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi hardware e sistemi di programmi software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana.

https://it.wikipedia.org/wiki/Intelligenza_artificiale

Oggi si parla di AI come un qualcosa che “vive” tra noi, che ci circonda. Il più delle persone, solo perché è definita intelligenza, la vede come un’entità in grado di pensare e capire in autonomia. Provate a chiedere cos’è l’AI, le risposte potrebbero sorprendervi. Chiedetelo anche alla Generazione Z che vive la tecnologia come qualcosa di assolutamente naturale e presente nel loro quotidiano.

Oramai tutti abbiamo preso familiarità con gli assistenti virtuali presenti sul telefono o nel nostro “cilindro” di casa al quale chiediamo ricette, informazioni meteo, o sempre più frequentemente di spegnere e accendere le luci in casa.

Ehi! …, e magicamente qualcosa si attiva come se fosse un genio della lampada pronto ad esaudire qualsiasi desiderio.

Se vogliamo continuare a chiamarla così, sappiate però che ce ne sono davvero tante. Non facciamo l’errore di vedere la AI come qualcosa alla Matrix che è tutta attorno a noi, NO! oggi non esiste nulla di simile, o probabilmente servirà ancora tempo, ogni produttore lavora ad una propria versione e cerca di farla “crescere” con le sue regole e le sue esperienze.

L’esperienza non è l’intelligenza

Come esseri umani impariamo principalmente dalle esperienze:

  • Se prendiamo un coltello dalla parte della lama potremmo tagliarci, quindi meglio non farlo.
  • Se attraversassimo con il rosso potremmo essere investiti.
  • Se premiamo l’interruttore della luce questa si accende e se lo ripremiamo, si spegne.
  • Ecc.

Ogni cosa che facciamo aggiunge un tassello a chi siamo, a come ci comportiamo, l’ambiente che ci circonda forma il nostro essere e come interagiamo con gli altri. Questa però non è intelligenza, se la vediamo come tale allora tutto attorno noi è intelligente nello stesso identico modo, gli alberi che crescono e si adattano a ciò che hanno attorno, gli insetti organizzati in gruppo, insomma elemento in natura lo è.

Questo è quello che stanno facendo le tante AI che ci circondano, si stanno formando, stiamo facendo acquisire loro esperienze che saranno in grado di elaborare di volta in volta imparando a comportarsi di conseguenza. Ma anche in questo caso non la possiamo definire intelligenza è una risposta strutturata e conosciuta ad un evento.

Facciamo un altro esempio molto attuale e mettiamoci nei panni di una automobile a guida autonoma. Sono l’auto, sono connessa alla rete, ho infinite capacità di calcolo a disposizione, anche grazie al famigerato Cloud. Conosco le strade grazie alle mappe, ho tanti sensori, radar e telecamere che mi danno una visione del mondo che mi circonda. Sì, “vedo” la strada. Nulla può impedirmi di partire e andare dove mi pare. “Via, vado a conoscere il mondo!“.

Oggi una macchina a guida autonoma non può fare questo, non ha tutta l’esperienza che serve per essere realmente autonoma e, cosa più importante, non è in grado di prendere decisioni su qualcosa che non sia già successo e pertanto qualcuno non glielo abbia “insegnato”.

L’intelligenza ci vede nel momento in cui non avete mai avuto un’esperienza uguale al problema che di deve affrontare e trovare ugualmente una via d’uscita.

La Tesla ha un sistema chiamato “Shadow Mode”, che raccoglie continuamente dati e li invia alla centrale. Questo permette agli sviluppatori di modificare e migliorare gli algoritmi per la guida autonoma. Questi sono algoritmi che qualcuno, una persona, dietro alle quinte calibra per farli funzionare sempre meglio ma sempre e comunque in un contesto di esperienza già acquisita.

Pensate a Siri, l’assistente di Apple, ad oggi è in grado di riconoscere pochissime operazioni, aggiungi un’attività in calendario, chiama un contatto, attiva timer e poco altro, quello che non conosce la cerca su internet usando il browser e i motori di ricerca e te lo mostra, ma non lo apprende a sua volta, e per tutto il resto dice che non ha capito.

Oggi stiamo aiutando tante società, Google, Apple, Amazon, Facebook (sempre loro), IBM, Microsoft, e molte ma molte altre, a dare esperienze alle loro AI. Queste informazioni archiviate nel tempo saranno in grande di rispondere alle nostre domande o alle nostre azioni più frequenti, ma non saranno, almeno per il momento, in grado di dare risposte a domande per le quali non hanno ancora ricevuto le adeguate indicazioni.

Purtroppo per noi, queste tecnologie che ci aiutano nelle cose più comuni, non sono il problema principale ma aiutano, ci stanno facendo perdere punti di QI. Uno studio dimostra che negli ultimi 20 anni, siamo diventati globalmente più stupidi, e probabilmente la cosa sarà più evidente nei prossimi anni, si aggiungono anche fattori ambientali esterni responsabili del calo intellettivo, fra cui peggiori sistemi scolastici, il declino dei valori educativi e l’uso crescente di televisione, media.

Studi indipendenti dimostrano che la dipendenza dai navigatori stradali ha accresciuto il numero di incidenti e il numero di persone che non sono in grado di seguire indicazioni stradali senza l’assistente.

Un giorno potrebbe succedere, e succederà, queste AI diventeranno veramente intelligenti, saranno più veloci nel pensare, di evolversi in autonomia, avranno molta più esperienza di noi e ogni loro decisione sarà loro. Speriamo che qualcuno, nel frattempo, gli abbia fatto leggere le tre leggi di Asimov.

  1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. Purché questo non contrasti con la Legge Zero
  2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Legge Zero e alla Prima Legge.
  3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Legge Zero, la Prima Legge e la Seconda Legge.

LEGGE ZERO
Un robot non può recare danno all’umanità, né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, l’umanità riceva danno.

E alla fine…

Ogni tanto guidiamo fino ad una destinazione a caso, usiamo il dito per accendere la luce freghiamocene del tempo che farà. Ogni volta che ci regaleremo una nuova esperienza, ci farà crescere.

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Roberto Beccari
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Roberto Beccari

Mi chiamo Roberto, da più di 20 anni mi occupo di programmazione e usabilità, inoltre sono un fanatico della tecnologia. In questo blog parlo di quello che faccio, di come lo faccio e descrivo il mio modo di vedere il mondo attorno a me. Se vuoi conoscermi e scambiare idee, la mia mappa è sempre pronta per essere estesa anche alle idee degli altri.

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